MARK
MURPHY. "He
is my equal" diceva di lui Ella Fitzgerald e non sbagliava.
Mark Murphy è uno dei grandi maestri del canto jazz, è il massimo
cantante jazz vivente, l’unico che abbia saputo coniugare l’affabile
comunicativa dell’entertainer con la sofisticata ricerca sulle forme
vocali.
Mark Murphy alla bella età di settant'anni ha ancora l'energia di
un quarantenne: la forma vocale è esuberante ed è sostenuta da una
lucida fantasia improvvisativa. Lo accompagnava un gruppo smagliante
e compatto composto dal pianista Giovanni Mazzarino, il sassofonista
George Robert, il bassista Stefano Senni e il batterista Andrea Michelutti.
Murphy è un magnifico improvvisatore vocale, è affabile col pubblico
ma non dimentica la sua peculiare identità di jazzman, fortemente
legato alla memoria storica del bop, della beat generation, della
scena californiana di S.Francisco dove prosperavano le serate di "jazz
& poetry". Come pochissimi nel canto jazz (l'unico riferimento appropriato
è Jon Hendricks) sa giocare con la componente ritmica dei versi, illuminandola
di una tensione declamatoria che scaturisce dalla magistrali doti
di enunciazione e intonazione. In Murphy la narrazione non va mai
a scapito della colorazione musicale delle sillabe, consonanti comprese.
Quando affronta lo scat è sempre un esercizio ricco di soluzioni,
tanto spericolato quanto godibile e coinvolgente. Con l'età la voce
s'è fatta ancor più scura e baritonale, e il suo intimo appeal, colloquiale
e declamatorio, non ha perso nulla del proverbiale dinamismo timbrico,
capace di passare al falsetto con assoluta naturalezza. Voce baritonale
tanto corposa quanto duttile, quella di Murphy è un magnifico esempio
di eloquenza timbrica, duttilità espressiva e agile dinamismo ritmico.
Maestro di vocalità esuberante e ricca di calore, Murphy è un magnifico
improvvisatore; è affabile col pubblico ma non dimentica la sua peculiare
identità di jazzman, fortemente legato alla memoria storica del bop,
della beat generation, della scena californiana di S. Francisco dove
prosperavano le serate di "jazz & poetry". Come pochissimi nel canto
jazz (l’unico riferimento appropriato è Jon Hendricks) sa giocare
con la componente ritmica dei versi, illuminandola di una tensione
declamatoria che scaturisce dalla magistrali doti di enunciazione
e intonazione. Quando affronta lo scat è sempre un esercizio ricco
di soluzioni, tanto spericolato quanto godibile e coinvolgente. Con
l’età la voce di Murphy s’è fatta ancor più scura ma il suo intimo
appeal, colloquiale e declamatorio, non ha perso nulla del proverbiale
dinamismo. Scoperto nel 1953 da Sammy Davis jr., questi fu così impressionato
dal suo talento che lo invitò a dividere il palcoscenico con lui,
qualche sera dopo. Sostenuto per alcuni anni dal famoso cantante-attore,
Murphy sembrava destinato alla brillante carriera di pop singer ma
il fascino del jazz e l’innato temperamento creativo l’hanno condotto
a questa musica. La sua carriera s’è svolta principalmente nei club
dov’è diventato un cult singer, sostenuto da un fedelissimo pubblico.
"Canto per un pubblico di individui- ha detto in un’intervista- Canto
per persone adulte che hanno avuto esperienze e problemi e vogliono
sentire una musica che esprime la complessità della vita, persone
stanche del primitivismo della musica leggera". Negli ultimi anni,
finalmente, sono giunti prestigiosi riconoscimenti: ha vinto i referendum
lettori di Down Beat nel 1996, 1997 e 2000 ed ha collezionato sei
Grammy Nomination il miglior disco di jazz vocale. Il suo ultimo disco,
splendido mix di esuberanza e lirismo, è Lucky To Be Me (Highnote).